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Sicilia, terra di antichi grani

Fin dall’uomo primitivo, agricoltore della terra, si è sempre cercato di migliorare le specie coltivate di grano, selezionando le sementi ritenute superiori e seminandole l’annata successiva.

Per secoli, in questa opera di selezione, si sono sempre usati due criteri fondamentali e imprescindibili: la produttività ed il sapore, mettendo al centro la biodiversità del territorio e la ricchezza delle qualità organolettiche, nonché la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema naturale. Ciononostante, i tipi di grano ed i metodi agronomici non sono rimasti più gli stessi di un tempo.

Le cose sono infatti cambiate radicalmente quando le tecniche di produzione si sono via via industrializzate, spingendo i produttori a modificare il “grano di una volta”, perseguendo l’unico obiettivo della produttività e della coltivazione intensiva e meccanicizzata. Da ciò derivava una selezione mirata a diminuire i rischi di allettamento della pianta (cioè il ripiegamento fino a terra dovuto al vento o alla pioggia) ed a favorire nel contempo in modo positivo l'assorbimento di fertilizzanti chimici. Ciò ha determinato il progressivo “nanismo” delle piante, alte talvolta poche decine di centimetri, soppiantando così le piante dei grani antichi di oltre 1 metro di altezza.

Relegando all’ultimo posto il sapore, si sono così affermate sempre più le farine raffinate, povere dal punto di vista nutrizionale, a scapito di quelle antiche, preservate dalla tenacia e dalla testardaggine di pochi nostri avi. Forse da tutto ciò può derivare anche un sensibile aumento delle intolleranze al glutine fra la popolazione che stiamo sperimentando in questi ultimi anni.

 ALLA RISCOPERTA DI GRANI ANTICHI 

In controtendenza, oggi assistiamo al recupero e alla riscoperta di molti “grani antichi autoctoni”, varietà di grani tipici del passato, la cui domanda dei consumatori è in crescita continua e costante, poiché – mantenendo l’integrità del suo chicco con valori nutrizionali elevati e non avendo subito tecniche di miglioramento genetico – conciliano benessere per l’uomo, agricoltura sostenibile e tradizioni regionali.

Si definiscono "grani antichi" tutte le varietà rustiche che venivano coltivate prima che si iniziasse la selezione dei grani per fini industriali con sofisticate tecniche di ingegneria genetica. Tra i più conosciuti dal grande pubblico ricordiamo:

  • il farro monococco;
  • il grano Khorasan;
  • il Saragolla (simile al Khorasan);
  • il Senatore Cappelli, quest’ultimo già ampiamente utilizzato in alcuni nostri preparati della linea Dolci&Pani.

Sono grani che nel corso del tempo si sono adattati a sopravvivere in aree difficili ed in condizioni avverse, come possono essere le zone montuose, siccitose o con temperature rigide.

Il nostro Paese ha un grande patrimonio agricolo da valorizzare ed è particolarmente ricco di varietà antiche di grano locale, che hanno rischiato l’estinzione per l’abbandono quasi totale delle loro coltivazioni. La loro lista è molto lunga. Ci soffermiamo ora su tre varietà siciliane molto interessanti.

La Sicilia è stata definita da Catone il Censore, il celebre oratore dell’antica Roma, come “il granaio della Repubblica” .

E’ la regione d’Italia dove troviamo la maggiore diversità di microclimi e tipologie di suolo, e che racchiude la tipicità ambientale del bacino mediterraneo.

La tre varietà di cui accennavamo sono relative a grani duri integrali, i più antichi dell’isola, frutto di selezioni naturali millenarie. Si tratta di grani che si distinguono per l’altezza delle spighe e la grandezza dei semi, riuscendo così a resistere ad alcuni parassiti e alle infestanti.

 1. TIMILIA 

Il TIMILIA, conosciuto anche con il termine dialettale “Tumminìa”, era noto già nel periodo greco con il nome di “trimeniaios”, che in epoca romana fu soppiantato dal farro.

Il TIMILIA, da cui si ottiene una farina grigiastra, è caratterizzato da rusticità e robustezza, risulta resistente alla siccità ed alle altre avversità abiotiche (ambientali). Veniva perfino ricordato come “un frumento bellissimo” dal grande poeta e scrittore tedesco Wolfgang Goethe nel racconto del suo viaggio in Sicilia del 1787. Con questa farina viene prodotto il tipico pane nero di Castelvetrano, paesino omonimo della provincia di Trapani.

 2. RUSSELLO 

Il RUSSELLO, detto anche “Ruscio” o “Russieddru”, rappresentava per gli agricoltori una risorsa da cui poter ricavare tanta paglia, oltre ad essere prediletto dai pastori per il suo pane che rimaneva morbido anche una settimana intera.

Il RUSSELLO, che presenta grani rossastri, dalle forti radici e adatto pure a suoli poco profondi, potrebbe discendere – secondo alcuni studiosi – dall’antico grano russo “Taganrog”, che dalla omonima base marina militare fondata dallo zar Pietro il Grande sul Mar Nero si diffuse in tutta Europa e negli Usa. Altri raccontano invece che possa prendere il nome dalla Campagna di Russia dei soldati siciliani, peraltro valenti contadini e quindi intenditori, i quali – catturata l’attenzione su dei grani scuri in quelle terre lontane – al loro ritorno in patria si fossero messi in tasca quei semi, puntualmente poi finiti all’Istituto di Granicoltura o Cerealcoltura. Con questa farina si produce il pane a pasta dura degli Iblei, tipico delle provincie di Ragusa e Siracusa.

 3. PERCIASACCHI 

Il PERCIASACCHI che letteralmente vuol dire "bucasacchi" è un grano dai chicchi gialli, secchi e lunghi, così appuntiti che strappavano e foravano i sacchi di juta durante il trasporto sul dorso dei muli. È chiamato anche STRAZZAVISAZZ.

È un grano duro simile al Khorasan, per cui anche al più famoso “Kamut”, facendo parte cioè della specie “Triticum turgidum ssp. turanicum”, come è stato recentemente confermato dopo approfondite analisi biomolecolari di laboratorio.

Nonostante sia un grano duro viene definito il farro lungo siciliano! La sua coltivazione, fatta risalire al periodo della dominazione greca, è ormai limitata solo ad alcune aree circoscritte dell’isola.

Il PERCIASACCHI  si presta particolarmente per produrre pasta, fra cui le tipiche “busiate” del trapanese, dalla forma irregolare e ruvida che ricorda vagamente un maccherone attorcigliato, la cui origine del nome, secondo la più ricorrente delle ipotesi, richiama il ferro per fare la maglia di lana, dal termine dialettale “buso”, che veniva anticamente utilizzato per la lavorazione dell’impasto che veniva avvolto a spirale sul ferro e poi sfilato, lasciandolo ad asciugare per alcune ore.

Oggi invece le "busiate", mantenendo la stessa identica forma originaria, vengono artigianalmente trafilate al bronzo ed essiccate a bassa temperatura, lasciando inalterate tutte le proprietà nutritive. Il PERCIASACCHI si può trovare solitamente prodotto da produzione biologica, integrale e macinata a pietra.

 CONCLUSIONI 

Secondo noi, i motivi che rendono questi tre grani interessanti sono:

per le loro proprietà salutistiche, poiché contengono importanti elementi nutritivi e fonti di fibre, derivanti dalla coltivazione esente da fertilizzanti chimici o che in taluni casi necessita di pochi input chimici, con una produzione ridotta ed artigianale, che prevede una molitura a basse temperature senza snaturare i benefici nutrizionali.

per l'ottima digeribilità e leggerezza, dovute al loro alto valore proteico e ad un basso indice di glutine, mantenendo un rapporto equilibrato tra presenza di amido e glutine e quindi riducendo l’insorgenza di intolleranze alimentari.

per il loro gusto pieno e la loro profumazione che ci riportano indietro ai tempi passati, ai veri frutti della terra, ai sapori della tradizione, scavando un solco con il pane bianco industriale.

per la metodologia di coltivazione che avviene pressochè senza l’ausilio di antiparassitari e concimi artificiali. Si segnalano inoltre per la scarsa presenza di micotossine.

Senza demonizzare i grani moderni ibridi, che vanno collocati nel loro giusto ambito, la scelta dei grani antichi, che sarebbe meglio chiamarli “cereali originari”, significa anche premiare varietà di grano del passato, originali e autentiche, contraddistinte da una filiera corta e artigianale, garanzia di qualità, di provenienza certa e di territori controllati.

Il recupero di varietà autoctone, secondo alcuni studiosi, ha pure un valore culturale, storico e paesaggistico, poiché le coltivazioni possono prosperare in determinati territori senza pesanti interventi dell’uomo, portando con sé sapori, aromi, colori e forme di una tradizione antica assolutamente da non disperdere.

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Data inserimento: 10/08/2020

Data aggiornamento: 12/08/2020